In Italia il percorso nascita è troppo medicalizzato. Le donne con una gravidanza fisiologica dovrebbero poter scegliere liberamente se dare alla luce il loro bambino in sala parto, a casa propria o nei centri nascita a gestione esclusivamente ostetrica fuori dall’ospedale (freestanding) o dentro l’ospedale (alongside). È la presa di posizione della Fondazione GIMBE, che ha reso disponibili in italiano le linee guida del NICE (Istituto nazionale per l’eccellenza clinica in UK), che sintetizzano le migliori evidenze scientifiche sull’assistenza a partorienti sane e neonati e sulla scelta del luogo dove partorire.
Chi decide non è la quasi mai la donna
«Nel nostro Paese, anche in assenza di reali fattori di rischio, le donne sono portate a scegliere la sala parto, dove il travaglio è caratterizzato da troppi interventi ostetrico-ginecologici divenuti ormai routinari, ma spesso inappropriati (taglio cesareo, episiotomia, parto strumentale con utilizzo di forcipe e ventosa, analgesia). Ciò avviene a dispetto di evidenze scientifiche che dimostrano che nella gran parte delle gravidanze fisiologiche non ci sono benefici materni e neonatali per scegliere la sala parto», afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE. «Proprio l’eccessiva medicalizzazione e la scarsa condivisione delle scelte è alla base di molti contenziosi medico-legali. In molti Paesi europei, dove il percorso nascita è organizzato diversamente, i parti cesarei sono pochi, mentre da noi la media è del 25%, cioè il doppio rispetto al tetto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e con la Campania che supera il 65% e alcuni ospedali che sfiorano il 100%”.
Che cosa rende rischioso il parto in casa?
In base ai dati del Ministero della Salute, nel nostro Paese meno dello 0,1% dei parti avviene a domicilio o in altra struttura non ospedaliera, pubblica o privata. Questo perché i centri gestiti da ostetriche, dentro o fuori gli ospedali, si contano sulle dita di una mano. «Sono solo 5 i centri nascita freestanding e 4-5 quelli alongside», precisa Cartabellotta. «Chi sceglie di partorire a casa, poi, lo fa spesso per scelta ideologica, a sue spese e, talvolta, a suo rischio e pericolo perché ad oggi non è garantita una rete efficiente di trasporto in ospedale in caso di complicanze. Senza contare che a volte scelgono di partorire a casa donne con gravidanze non fisiologiche, che dovrebbero optare per la sala parto».
Quanti trasporti in ambulanza d’emergenza si effettuano in concomitanza con i parti in casa? «In Italia questo dato non è disponibile perché i numeri sono troppo bassi», afferma il Presidente. Dal documento del NICE che riguarda la Gran Bretagna risulta che su 1.000 pluripare (donne che hanno già figli) che scelgono di partorire a domicilio, 115 necessitano del trasporto in ospedale. Mentre su 1.000 nullipare (donne al primo figlio) ben 450 ne hanno bisogno. «Questa opzione, quindi, è particolarmente adatta per le donne con gravidanza fisiologica che hanno già avuto un bambino, nelle quali i rischi sono minori», dice l’esperto. «La vera difficoltà, insomma, è la valutazione di un èquipe di professionisti del quadro iniziale che consenta di individuare le donne con una gravidanza fisiologica a cui proporre opzioni diverse dalla sala parto».
Che cosa propongono le ostetriche
La proposta della Fondazione GIMBE punta dunque a rivedere e migliorare l’intero percorso nascita a partire dalle evidenze scientifiche disponibili. «È fondamentale investire di più sui centri a gestione ostetrica, che potrebbero trovare posto dalla conversione degli ospedali che effettuano meno di 500 parti all’anno (che dovrebbero essere chiusi secondo un decreto Ministeriale). È essenziale, inoltre, che venga fornita un’assistenza adeguata nei parti a domicilio», conclude Cartabellotta. «È questa la via per un parto meno medicalizzato e per una riduzione del numero dei contenziosi legali».
di Michela Crippa